martedì 8 giugno 2010

ANASSIMANDRO


ANASSIMANDRO



CENNI BIOGRAFICI:

Nato a Mileto attorno al 610 a.C. e morto attorno al 540 a.C.,

e stato un filosofo precedente a Socrate e per questo detto presocratico,

è stato il primo cartografo e inoltre il primo filosofo che scrisse un opera "Della natura".

Fu anche discepolo di Talete dal quale prese la ricerca in un solo principio.

CITAZIONI:

1)In principio degli esseri è l'infinito...

da dove infatti gli esseri hanno l'origine,

lì hanno anche la distruzione secondo necessità,

poiché essi pagano l'uno all'altro la pena e l'espiazione

dell'ingiustizia secondo l'ordine del tempo.

2)Solo il Questo respirava immobile, non c'era altro.

Allora non c'era né l'essere né il non essere,

né l'aria né di sopra il cielo...

non c'era né morte né immortalità,né giorno né notte.

ARCHE:

Arché, può essere inteso con due significati:

1)principio che è apparso cronologicamente per primo e quindi generatore (ciò che ha prodotto il mondo, ovvero l'elemento alla base di ogni altro ente).

2)principio conservatore (ciò che mantiene in vita il mondo, senza di esso nulla potrebbe esistere).

APEIRON:

Il concetto di ápeiron fu ideato da Anassimandro,

filosofo della scuola di Mileto, il quale concepiva l'ápeiron non come una miscela di elementi,

ma piuttosto un'unica materia nella quale i vari elementi non sono ancora distinti.

Tale materia dà origine a ogni cosa, e perciò non può possedere le caratteristiche di nessuna cosa specifica.

Secondo Anassimandro, quindi, l'ápeiron è una materia indeterminata,

oltre che infinita. Inoltre l'ápeiron è caratterizzato da un movimento rotatorio eterno e intrinseco

Secondo Anassimandro l'ápeiron rappresenta l'arche cioè l'origine

e il principio costituente dell'universo. Essa è una materia infinita,

indeterminata, eterna, indistruttibile e in continuo movimento.



Marta Crosato

Pitagora


PITAGORA: ALLA SCOPERTA DELLA RAZIONALITA'
Parlando di matematica impossibile è non incrociare la propria strada con quella di un grande personaggio dell’ antichità: Pitagora. Egli sarà una delle pietre miliari della storia delle scienze sino ai giorni nostri. La sua immortalità è dovuta soprattutto alla scuola fondata a Crotone nel 530 a. c.
le sue teorie si articolavano attorno una materia al tempo oggetto di grandi studi chiamata aritmo-geometria. Questo scibile al tempo riuniva l'algebra e la geometria e gravitava attorno al concetto di numero. Con questo termine si apre secondo la visione pitagorica una varco vastissimo, considerato principio generatore, da cui tutto deriva: l’ archè. La rivoluzione quindi è molto grande poiché il numero non rappresenta più la definizione di una quantità, ma prende il significato di forma ossia la sostanza della natura è il numero, che diventa immagine della razionalità stessa che regola quindi tutto ciò che ci circonda. le derivanti del numero che ci portano a misurare la nostra realtà ci fa considerare quest’ultima scoperta pitagorica non solo il punto di identificazione di tutto quello che “è” da tutto quello che “non è”; grazie a questo procedimento si prova l’ inconfutabile certezza di un’ origine comune per ogni ente. Nell’ apparenza queste teorie venivano considerate specchi di perfezione, tuttavia, nuove scoperte come le tesi"degli incommensurabili" porteranno scompigli e crisi all’ interno della “setta” e a causa di questo alcune discipline pitagoriche presero una strada declinante. la scoperta che, per esempio, la diagonale di un quadrato ed il suo lato non possiedono un sottomultiplo comune, mise alla luce l'esistenza di numeri che non potevano essere definiti senza un'approssimazione.
Ecco che in maniera per assurdo definita “ matematica” la concezione pitagorica che si esprimeva con la frase "Dio è numero intero" va a sgretolarsi. Le critiche che ne deriveranno esprimono in maniera lampante la presunzione della scuola pitagorica di inquadrare tutto, anche il trascendente,in una concezione fredda e saldamente attaccata ad una realtà limitata. Dobbiamo ricordarci che al tempo la presenza divina era considerata in maniera tutt’ altro che distaccata e inorganica. Il grande merito che molti critici hanno stimato in Pitagora è la sua visione teologica che richiamava una dimensione molto discussa di Dio ossia la sua l'inafferrabilità. Dio, forse, non è numero intero, ma, per così dire, "illimitato non periodico".C'è da dire, comunque, che il tentativo di provare o confutare l'esistenza di un sistema di leggi che regola l'intero kosmos è stata un’utopia ripresa molte volte lungo i secoli sia della grande scolastica medievale, ma anche di tutta una branca della filosofia razional-metafisica, da Aristotele a Cartesio. Se pensiamo che anche il sistema aristotelico-tolemaico finisce a causa di un non riuscito linguaggio matematico che riunisse i dati scientifici esattamente come accadde per il pitagorismo (al posto dei numeri razionali, qui si trovano le nuove scoperte astronomiche come elemento destabilizzante).
La scuola pitagorica rappresenta uno dei passi evolutivi più grandi da parte dell’ uomo nella ricerca di una sintesi della realtà realizzata de egli stesso. Questo tentativo, tuttavia, è venuto a scontrarsi con l’ ignoto e il caso; tematiche su cui anche l ‘ uomo contemporaneo mostra incertezze e titubanze .Le tesi pitagoriche di base erano considerate come qualcosa di sovraumano: perfetto, sacro e allo stesso tempo essenza del mondo; infatti un pitagorico non si sarebbe mai permesso di apportare modifiche sostanziali al linguaggio dell'aritmo-geometria. Proprio per questo la scuola per lunghi anni tenne nascosta la scoperta degli incommensurabili, illudendosi forse di poter adattare la realtà al modello, e non viceversa. Non dobbiamo considerare questa decadenza puramente negativa poiché con il passare del tempo si concepi’ che il vero campo d ‘indagine della realtà doveva essere espresso attraverso la matematica. Cosa ci lascia quindi Pitagora ed i Pitagorici? Senza dubbio l’ eredità è enorme a cominciare con la concezione che all’ interno della natura vi sia un ordine sostanziale che ci spinge alla ricerca di un determinismo di fondo, dal quale, però non si può mai allontanare l'idea del caso; la ricerca del vero deve andare di pari passo e, talvolta venire sostituita, da quella del probabile. Se dal punto di vista scientifico ci ha aperto un nuova strada del “matematicalizzabile” della realtà dall’ altra l ‘uomo ha capito che tutto ciò che va oltre le proprie conoscenze può avere a che fare con qualcosa che a noi non è dato da sapere.


Gasparin Edoardo
NUMERICA


domenica 6 giugno 2010

ERACLITO


Eraclito, celebre filosofo del 517 a.C , si distinse per il suo carattere molto superbo e orgoglioso, egli disprezzava completamente il popolo, motivo per cui, durante la sua vecchiaia si isolo' in un monte, dove poi mori' sbranato volontariamente dai suoi cani. Egli rivolge le sue riflessione all'uomo, e non alla natura, piu' in particolare si dedica alla "legge"(cosi' da lui definita) che governa il mondo.
Secondo Eraclito c'e' una netta opposizione tra Logos e Sensi. Il mondo ci appare molteplice attraverso i sensi, quest'idea di mondo pero' e' del tutto sbagliata, ed e' proprio quell'idea a cui si fermano gli uomini che non utilizzano il Logos, chiamati da Eraclito "I Dormienti". Gli enti secondo lui,sono in continuo mutamento, in divenire, e cio' non indica solo un passaggio dalla morte alla vita e viceversa ma anche un mutamento vero e proprio dell'ente in quanto soggetto al tempo. L'immagine che più rappresenta il divenire e' quella del fuoco, poiche' resta sempre se stesso pur essendo in continuo movimento e mutamento, esso puo' infatti assumere – dice il filosofo - gli aromi di tutto ciò che brucia, ma non puo' esso stesso essere assunto da altri. Gli enti, inoltre, sono in lotta tra di loro, ovvero ciascun ente e' quello che e' solamente in quanto rimane diverso dal suo contrario, come il giorno e la notte, ma se ogni ente non avesse un suo contrario, non esisterebbe. Secondo questo filosofo superbo, il mondo e' unico, ma ci appare molteplice attraverso i sensi. I saggi ed i filosofi sono coloro che quindi non si accontentano di cio' che vedono, ma vogliono capire la legge che governa il mondo, attraverso il logos.

"Non ascoltando me, ma il logos, e' saggio convenire che tutto e' uno".

Il mutamento degli enti viene rappresentato chiaramente dal Fiume, l'acqua del fiume scorre e non e' mai la stessa, gli enti quindi mutano continuamente.

Eraclito fissa tre significati importanti di LOGOS, che rimarranno uno dei punti di riferimento fondamentali per il pensiero greco:

Il logos e' la LEGGE che governa il mondo, il PENSIERO che comprende tale legge ed e' il LINGUAGGIO che la esprime.

Proprio grazie alla coincidenza fra questi tre significati, ossia fra il piano dell’essere (ontologico), del pensiero (logico) e del linguaggio, l’uomo può capire ed esprimere l’essere.


Mariacristina Alpago

venerdì 4 giugno 2010

L'utopia platonica




Lo Stato ideale di Platone può essere considerato utopico poichè ha carattere ideale.
Esso si basa sulla teoria dell'anima di ciascuno.
Questo tipo di società potrebbe essere molto efficace e risolutiva riguardo ai problemi interni,ma per crearla dovremmo essere tutti in grado di interpretare la nostra anima.
Saper interpretare l'anima significa essere in grado di giudicarsi,di criticarsi apertamente,per poter trarne beneficio ed essere in grado di migliorarsi e arricchirsi;purtroppo si tratta di un aspetto molto complicato e difficile da raggiungere,solamente coloro che vogliono trovare la verità assoluta riusciranno a raggiungere la pace interiore e troveranno un vero scopo alla loro vita.Nonostante ciò sono d'accordo con il sottoporre ogni individuo un processo di formazione ben strutturato,cioè all'applicazione concreta dei principi desunti attraverso la riflessione,come si usava fare nell'antica Grecia. Solamente quando l'uomo avrà trovato il giusto rapporto fra sapienza e capacità di governare uno Stato,singolarmente e come membro della polis,potrà continuare nella ricerca della verità.
In questo modo solamente chi avesse tenacia ed intelligenza potrebbe aspirare a diventare un capo di Stato e quindi un uomo saggio,uomo abile ad usare concretamente le sue riflessioni teoriche.
I più motivati,che vorranno possedere l'uso del sapere a loro vantaggio,dovrebbero tenere un discorso ben articolato in pubblico e verrebbeo giudicati da una cerchia di persone istruite e addibite a ciò.
In tutto questo processo saranno incluse le donne,in quanto capaci di stare al fianco di un governatore di Stato,per preziosi consigli ed importanti decisioni.
Alla base di un solido Stato,come diceva Platone,ci dev'essere la giustizia,l'ordine dei rapporti umani in funzione del comportamento di una o più persone verso o contro la legge,fondamenta di una civile convivenza.
La popolazione sarebbe coinvolta nelle scelte di vita comune.
A controllare i governatori dovrebbero esserci una sorta di ministri,eletti poichè emersi come uomini saggi,che posseggono l'arte del dialogo e della giustizia,coloro che hanno sempre lottato per imporre dei doveri e dei diritti,alla base di uno Stato efficiente.
Naturalmente i nostri governatori verrebbero approvati e dovrebbero favorire gli interessi di tutti i cittadini e non appena compirebbero ingiustizie l'incarico verrebbe loro tolto.



Anna Parazzoli

ARISTOTELE

"Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l'addio alla vita, poichè tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchere e vaniloqui" (Aristotele)
Aristotele , noto come il "filosofo dell'immanenza", è indubbiamente considerato uno delle menti filosofiche più stimate del mondo antico e figura fondamentale per la creazione del pensiero occidentale.
Nasce a Stagira nel 384 a.C., nel Nord della Grecia.Il padre fu probabilmente medico di re Aminta in Macedonia.Rimasto orfano in tenera età si trasferì ad Atene nel 367 a.C per studiare all'Accademia, la stessa fondata da Platone circa vent'anni prima, e ci resterà fino alla morte del Suo grande maestro.
Prima di essere un campo di studi, la filosofia per Aristotele fu una disciplina e divenne anche base e criterio di "modo di vita"nell'applicare tutti quei principi tratti dalla riflessione.
La sua filosofia si muove sulla stessa esigenza di Platone di ricercare un principio unico e immutabile che spieghi il modo in cui avvengono i cambiamenti della natura. Il suo pensiero conferma, come per il suo maestro, la netta contrapposizione filosofica tra Parmenide ed Eraclito: tanto quanto il primo ritiene l'Essere completamente immobile tanto quanto il secondo pensa la vita come un continuo movimento e cambiamento...tutto cambia e si tramuta, il tempo scorre incessante ma sempre seguendo regole e schemi ben prefissati.
Ciò nonostante Aristotele crede che le forme che possono guidare la materia sono insite nella materia stessa: ogni realtà ha in sé stessa le regole e le leggi fondamentali del proprio costituirsi. La vita e le forme mutano perchè ci è data lo possibilità di raggiungere una forma precisa.
Il dovere della filosofia è proprio quello di scoprire le cause che determinano il perchè un oggetto o una forma si evolve in un certo modo e non in un altro modo.
Sarà proprio la cosidetta "scienza delle cause" a ricercare di charire in maniera razionale il problema dell'Essere basandosi su criteri precisi.
Tale "scienza"si basa su quattro cause:
1 CAUSA FORMALE : consiste nell'essenza dell'oggetto stesso
2 CAUSA MATERIALE : l'oggetto non esiste senza la materia
3 CAUSA EFFICIENTE : è la causa che determina la trasformazione
4 CAUSA FINALE : Esiste l'intenzione nella natura, è la ragione per cui una realtà precostituita esiste.
L'ONTOLOGIA, in quanto metafisica, è la base della filosofia aristotelica che ha come suo oggetto di ricerca "l'essere in quanto tale"in via del tutto scientifica e solo in via secondaria e strettamente subordinata la ricerca "dell'ente".L'ente aristotelico risiede in tutto ciò che esiste contrariamente dall'Essere che invece è in sé e per sé.Inoltre l'Essere è unico mentre gli enti sono molteplici e diversi fra di loro.per esempio ente sarà un uomo qualunque e ente sarà il suo colore della pelle....diverso fra tanti e in mutazione.
Tale riflessione cerca di pacificare così l'Essere statico di Parmenide e l'Essere che muta di Eraclito: l'ente di Aristotele è indivisbile dalla materia e dalla sua stessa forma e essendo la materia in grado di evolversi e mutarsi la stessa nel tempo compie la sua logica trasformazione.
DI CONSEGUENZA: Ogni cambiamento e mutazione della natura sono da legarsi null'altro che alla ragione interna ad ogni struttura che fa evolvere ogni organismo secondo sue leggi proprie e specifiche.
Ecco perchè Aristotele è chiamato "il filosofo dell'immanenza".
Fondamentale concetto è inoltre il concetto di SOSTANZA.Secondo la filosofia aristotelica sostanza indica "ciò che è in sé e per sé", quindi per essere non ha bisogno di esistere.La sostaza è una dell dieci categorie entro le quali possiamo individuare gli enti in base alle loro differenze.Dette diversità sono: sostanza, qualità, quantità, dove, quando, relazione, agire, subire, avere, giacere.
Ma Dio esiste nella filosofia di Aristotele? certo che si.Dio è il motore immobile fondamentale che causa il movimento concatenato della quattro cause riconosciute. Ogni cosa tende a Dio ed è immobile in quanto Dio è un "atto puro"...già realizzato perfettamente in sé stesso.
"Il primo motore dunque è un essere necessariamente esistente...Se, pertanto, Dio è sempre in uno stato di beatitudine, che noi conosciamo solo qulche volta, un tale stato è meraviglioso; e se la beatitudinedi Dio è ancora maggiore essa deve essere oggetto di meraviglia ancora più grande.Ma Dio è appunto, in tale stato!"(Metafisica).
Ugualmente a Parmenide Dio è pienezza dell sostanza e pensiero"puro".
Che cos'è il conoscere per Aristotele? Esistono vari gradi conoscere secondo Aristotele. Inizialmente non esistono idee nella nostra mente. Questa resta completamente vuota se non intervengono i nostri sensi. Questo non significa che il nostro intelletto non abbia la capacità di avere idee.Al livello più basso del conoscere c'è la sensazione: percepisce tutto ma nel momento in cui mette in opera una percezione precisa consente al nostro "Intelletto potenziale" di agire. Lo stesso necessita a sua volta di una realtà già esistente per attivarsi. La conoscenza, a questo punto, si finalizza in un "Intelletto attivo"che arriva a vedere l'essenza che è in atto...LA FORMA.
"La dignità non consiste nel possedere onori ma nella coscienza di meritarli.."
L'etica di Aristotele? Secondo il filosofo l'etica non è null'altro che il comportamento che ognuno di noi deve tenere nel corso della propria vita per poter vivere felice. Di conseguenza la felicità consiste nella realizzazione della propria essenza. Quindi VALORE e ESSERE sono esattamente la stessa cosa o meglio si identificano. L'essere umano realizza se stesso praticando tre forme di vita:

1 VITA EDONISTICA : vita basata sulla cura del proprio corpo
2 VITA POLITICA : vita basata sul rapporto sociale con gli altri
3 VITA TEORETICA : vita basata sulla ricerca contemplativa della verità.
Le tre forme di vita si devono integrare fra di loro alfine arrivare allo scopo primario: essere felici.L'essere umano deve tendere all'armonizzazione delle sue "tre anime" senza privilegiare nessuna delle tre.Tali anime sono identificate da Aristotele in:
1 ANIMA VEGETATIVA : presente anche nelle piante e negli animali ,relativa alla nutrizione e riproduzione. Essa ha come fine il piacere e la salute.
2 ANIMA SENSITIVA: presente anche negli animali, relativa alle passioni e ai desideri. Essa ha come fine il dominio degli impulsi mediante il "giusto mezzo".Ad esempio : il coraggio è il giusto mezzo tra la vigliaccheria e la temerarietà.
3 ANIMA RAZIONALE :presente solo nell'uomo ed è insita nell'intelletto e nella sua possibilità di pensare. Essa ha come fine il perseguimento della conoscenza della verità.
In tal modo Aristotele introduce un'idea della sapienza come stile di vita dell'essere umano completamente svincolato da ogni fine pratico. Ciò nonostante, solo i filosofi concretizzano un sapere che non ha fini pratici e solo in tal modo il loro sapere è libero e non è asservito a nullae nessuno.Di conseguenza, la contemplazione della verità è un'attività senza alcun fine pratico ma ha come significato LA FELICITA' (eudaimonia).Proprio la felicità differenzia l'uomo dagli animali e lo rende più simile a Dio.
Pochi filosofi del passato hanno avuto così grande influenza sui pensatori delle epoche che seguirono come Aristotele. Uomini illustri come Tommaso D'Aquino riprese le sue idee della metafisica.L'intero Rinascimento riprende molto spesso la sua filosofia e grandi filosofi del Novecento traggono come punto di partenza per la loro filosofia le sue riflessioni.
Fu sicuramente un uomo del suo tempo, con le contraddizioni di quell'epoca ma indubbiamente la sua "straripante"voglia di sapere allo stato puro e libero condizionerà ora e per sempre un binomio indissolubile : SAPIENZA e AMARE.. AMORE PER LA SAPIENZA RENDE L'UOMO SLEGATO DA OGNI COSTRIZIONE MENTALE E FISICA IN VIRTU'DELLA : L I B E R T A'!!
Chiara Biasotto

lunedì 31 maggio 2010

Severino - Parmenide

Approfondimento: Parmenide ripreso da Emanuele Severino

Severino propone oggi un ritorno integrale a Parmenide: con i suoi studi, egli si prefigge di risalire alle origini della filosofia, al bivio tracciato da Parmenide, che proibisce di pensare al non essere, inteso come nulla radicale, e Platone che “salva i fenomeni”, ossia l’esistenza del mondo, mettendo in luce come il non essere possa essere inteso anche come essere diverso da.

Per Severino, come per Parmenide, poiché non è possibile la conoscenza di ciò che non è, solo l'essere è conoscibile: l'unica verità è la verità dell'essere.

La storia dell'Occidente, secondo il filosofo, è segnata da un destino nichilistico (negazione teorica di un valore assoluto) che nell'affermazione del dominio della tecnica sull'uomo e sulla natura trova il proprio compimento. Le origini di questo progetto di dominio vanno ricondotte alla filosofia di Platone che, contro Parmenide, ha affermato l'esistenza del divenire, ammettendo la possibilità che l'essere possa identificarsi col nulla.

Patrizio Papa

Parmenide



Parmenide di Elea


L’essere è, il non essere non è

Il filosofo di Elea nel proemio del suo trattato Sulla natura sfrutta il viaggio di ascesi dalla parte bassa della città,la quale rappresenta il regno dell’opinione, della doxa, ossia del senso comune e fallace, fino all’acropoli, la quale invece descrive il regno della Verità, stabile, perfetta ed immutabile, come metafora del suo pensiero: infatti una volta che il giovane filosofo ha compiuto il viaggio voluto dalle divinità, e, dunque ha compiuto il percorso di purificazione, è pronto a ricevere il messaggio della verità :

· L’essere è e il non essere non è, né potrebbe essere

Egli, con questo passo, vuole affermare che il non essere per definizione non è. Ne deriva che è impossibile pensare e dire il non essere poiché per sua natura non è.

Da tali premesse Parmenide giunge a negare sia l’esistenza delle cose (la molteplicità degli enti), sia il divenire (pensato come passaggio dal non essere all’essere).

Non solo, per il filosofo di Elea non ha nemmeno senso usare il verbo essere preceduto da una negazione.

Esempio : “Mario non è sposato” per Parmenide è una frase senza alcun significato poiché il filosofo, per il quale ancora non vale la distinzione moderna delle due funzioni dell’essere (funzione copulativa ed esistenziale), concepisce unicamente il valore esistenziale dell’essere. Perciò il verbo essere usato nella sua forma negativa viene considerata un’ammissione del non essere e dunque la frase precedentemente scritta è un’affermazione contraddittoria.

Posto che solo l’essere è, va chiarito come esso sia.

Gli attributi dell’essere parmenideo sono :

· Ingenerato e imperituro poiché se nascesse si dovrebbe ammettere il divenire ossia il passaggio dal non essere all’essere ma poiché il non essere non è e non può esistere non si può ammettere il divenire;

· eterno perché l’essere vive in un eterno presente : l’essere è e, dato che il passato è il tempo che non è più ed il futuro il tempo che non è ancora, Parmenide esclude altri tempi al di fuori del presente;

· immutabile e immobile perché se si muovesse dovrebbe passare da A a B,B però è diverso da A cioè non è A,dunque non esiste e l’essere non potrebbe mai essere mobile poiché dicendo questo,si dovrebbe accettare il non essere;

· finito perché ciò che è finito è perfetto;

o è una sfera omogenea e tutti i punti sono distanti in egual modo dal centro.

Va precisato inoltre che l’essere in un certo senso coincide con il pensiero e con il linguaggio dato che possiamo esprimere e pensare solo l’essere. Esiste infatti un’identità di struttura tra l’essere, il pensiero e il linguaggio come ci suggeriscono i tre significati di logos :

ü Legge che governa il mondo

ü Pensiero che la pensa

ü Linguaggio che la esprime .

Si ricorda che Parmenide, mettendo al centro lo studio sull’essere fonda per primo il significato dell’ontologia, intesa come lo studio dell’essere, ossia di ciò che è comune a tutti. Tale concetto viene ripreso poi da Aristotele, che definì l’ontologia “studio dell’ente in quanto ente”, ossia studio di ciò che tutti gli enti hanno in comune con gli altri enti, al di là delle loro differenze specifiche: il fatto stesso di esistere.

Confronto con Eraclito

Entrambi i filosofi analizzano due specie di conoscenza: quella che avviene attraverso i sensi e quella razionale, che ha come strumento il logos. Quest’ultima soltanto assume valore positivo poiché offre l’accesso alla verità intesa come epistème.

Eraclito analizza la questione dividendo la popolazione in dormienti, i quali si accontentano di una visione del mondo fallace, osservando il mondo come una continua lotta tra contrari e svegli, i quali colgono la verità ossia che “Tutto è uno”, che è saggio convenire che il mondo è unico, che i contrari sono riconducibili all’unità dell’essere e che alla lotta è sottesa un’armonia profonda.

La differenza fondamentale tra i due filosofi,apparentemente simili, è che il primo afferma che il divenire è la legge del tutto, mentre Parmenide sostiene che non esiste poiché sostenere il contrario, sarebbe affermare il non essere, ossia cadere in contraddizione.

Resta da pensare: che senso ha dire che le cose non esistono?

Ma anche: che significato diamo alla parola “essere”?


Patrizio Papa